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Malattie rare e NMOSD (Neuromyelitis Optica Spectrum Disorders)

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di Tiziana Carandini*   Le malattie rare sono patologie che colpiscono un numero limitato di individui rispetto alla popolazione generale, ma che nel loro complesso interessano milioni di individui in tutto il mondo. Nella maggior parte dei casi, le malattie rare sono croniche e comportano spesso sintomi gravi e invalidanti, oltre a tensioni emotive significative per i pazienti e le loro famiglie. Nella maggior parte dei casi, la diagnosi e la terapia delle malattie rare rappresentano ancora una sfida per la medicina, seppur la ricerca sia un campo in rapida crescita, con l’obiettivo di migliorare la comprensione di queste patologie e sviluppare trattamenti efficaci per coloro che ne sono affetti. Le malattie dello spettro della neuromielite ottica (NMOSD, acronimo di Neuromyelitis Optica Spectrum Disorders) rappresentano un gruppo di malattie rare del sistema nervoso centrale, dovute ad un’alterazione del sistema immunitario che comporta – nella sua variante classica – la presenza di autoanticorpi diretti contro il canale dell’acquaporina 4 (AQP4), una proteina-canale per l’acqua che è presente in alcune aree del sistema nervoso centrale. La presenza di questi anticorpi causa un’attivazione immunitaria e la formazione di lesioni infiammatorie, che interessano in maniera prevalente il nervo ottico e il midollo spinale, determinando difficoltà ingravescenti nella vista – fino anche alla cecità – e nella deambulazione. Gli “attacchi” infiammatori possono essere più o meno destruenti, variando dalla risoluzione senza conseguenze ad esiti molto invalidanti con un impatto significativo sulla qualità della vita dei pazienti. Le NMOSD richiedono un trattamento specializzato per gestire le ricadute e rallentare la progressione della malattia. La ricerca in corso sta contribuendo a una migliore comprensione delle NMOSD e allo sviluppo di trattamenti mirati. Nel contesto delle malattie rare, e in particolare in quello delle NMOSD, le associazioni di volontariato rivestono un ruolo fondamentale poiché contribuiscono in modo significativo al benessere delle persone affette. Tali associazioni forniscono un supporto emotivo ai pazienti e alle loro famiglie, creando comunità di persone che condividono esperienze simili, e sono in grado di dare voce ai pazienti, rappresentandone le esigenze e le preoccupazioni di fronte alle istituzioni sanitarie e politiche. Hanno inoltre lo scopo di fornire informazioni affidabili e sensibilizzare la popolazione riguardo alle malattie rare, aiutando i pazienti a comprendere la propria condizione, le opzioni di trattamento e i servizi disponibili. Le associazioni di volontariato aiutano a raccogliere fondi per la ricerca con iniziative comunali o nazionali e si impegnano attivamente nell’advocacy per promuovere la ricerca scientifica e l’accesso a cure migliori. Tutte queste attività sono di fondamentale supporto per affrontare la malattia e migliorare la qualità della vita ai pazienti. Nell’ambito delle NMOSD, AINMO è la prima associazione italiana dedicata alle Malattie dello Spettro della Neuromielite Ottica che intende dare voce a tutte le persone colpite da queste patologie. L’associazione di volontario si pone come obiettivo “quello di supportare la comunità delle persone con NMOSD, promuovendo la ricerca, nuovi trattamenti per una migliore qualità di vita e la condivisione di informazioni tra i pazienti, i loro caregiver e gli operatori socio-sanitari”. Tutti possono collaborare ad AINMO, aderendo all’associazione oppure con una donazione a sostegno di essa. *Dirigente Medico presso l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Un giorno raro

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di Sergio Giacomobono*     C’era una volta un giorno lasciato da solo.   Un giorno di quelli speciali, eppure solo.   Quei giorni che capitano di rado, pieni di mistero e carichi di aspettative. Aveva un colore ed una forma, ma non faceva nessun rumore, non poteva parlare e farsi sentire, confidava nell’aiuto dei microfoni altrui per avvertire della propria venuta. Arrivava ogni quattro anni, in silenzio si adoperava per abbattere i muri che dividevano i pochi dai tanti, per superare le frontiere della supposta normalità. La solitudine di essere tra quei pochi, lui la conosceva bene, così come detestava il carico della sua diversità. Era il 29 di febbraio, un giorno sì diverso dagli altri, diverso da tutti gli altri giorni, ma non per questo doveva essere allontanato, addirittura non considerato. Spariva dai calendari, anche dalla memoria di chi con lui era nato, dall’abitudine delle feste o di ogni celebrazione, dal ricordo di un lutto. Era il 29 febbraio quando terminò l’assedio di Sarajevo, o quando un terremoto uccise un terzo della popolazione di Agadir in Marocco, o quando ci fu un colpo di stato ad Haiti, era il 29 febbraio quando Luca Barbarossa vinse il festival di San Remo. È il giorno più raro dell’anno, cosa significa essere raro? Significa essere prezioso, unico, resiliente, ma sicuramente a volte anche solo. Il 29 febbraio ricorre la Giornata Mondiale delle Malattie Rare, proprio per celebrare i malati rari, i caregiver, la comunità. Nessuno a scuola aveva sentito parlare prima di malattie rare, neanche io. In Europa una malattia si definisce rara quando colpisce non più di 5 persone ogni 10mila. Si conoscono tra le 6mila e le 8mila malattie rare, molto diverse tra loro ma spesso con comuni problemi di ritardo nella diagnosi, mancanza di una cura, o grave carico assistenziale. Le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite, le malattie delle ghiandole endocrine e i disturbi immunitari (20%) in età pediatrica, mentre le malattie rare più frequenti nella popolazione adulta appartengono al gruppo delle patologie del sistema nervoso o del sangue. In Italia si stima che siano più di un milione le persone con malattia rara di cui la maggior parte bambini o adolescenti. Parliamo di persone che dentro la loro malattia hanno ancora più dif­ficoltà, vivono con malattie poco conosciute anche tra i medici. Proprio la rarità della condizione rende difficile sviluppare e studiare trattamenti specifici, così come ottimizzare percorsi adeguati di gestione della malattia. Il servizio sanitario italiano cerca di tutelare i malati rari garantendo l’esenzione da ticket per le prestazioni mediche necessarie per il trattamento e monitoraggio della malattia, ma il problema è che spesso la malattia stessa non viene accertata o lo viene fatto in ritardo. Il malato raro è sottopo­sto a visite ed esami innumerevoli prima di avere una diagnosi corretta, e il più delle volte non può co­munque essere curato con farmaci sviluppati per combattere la sua malattia. Mancano investimenti su patologie di nicchia, soprattutto manca conoscenza sul processo di malattia. Tutto è più difficile di fronte ad una malattia rara. Per questo è importante il 29 febbraio, in questo giorno la rarità diventa rivincita e ricchezza, unicità da valorizzare e mai discriminare. La giornata delle Malattie Rare riesce a portare l’attenzione su questo problema sanitario, a far sentire meno soli i malati rari e a coinvolgere più interlocutori possibili in modo che agiscano per rendere equa la rarità, almeno nella malattia. Perché sia equo l’accesso alla diagnosi, al trattamento e alle cure.   Perché chi tra di noi conosce un malato raro possa aiutarlo, perché tutti siano un giorno in grado di vedere, includere e sostenere la rarità, e questo ogni giorno dell’anno non solo il 29 febbraio.   Fonti: tratto da “About Science Junior – Science in High School” https://www.osservatoriomalat­tierare.it/malattie-rare ISS 2015   *(3E) Studente, Liceo Classico Milano  

Lo sport come mezzo per promuovere l’inclusione delle persone con malattie rare

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di Mattia Pozzato*   Da sempre lo sport ha dimostrato di essere un potente veicolo per promuovere l’inclusione delle persone con disabilità. Spesso, le persone con malattie rare devono affrontare ostacoli che possono sembrare insormontabili per chiunque. Attraverso storie di atleti straordinari che hanno affrontato e superato sfide uniche, lo sport ispira non solo coloro che sono direttamente coinvolti, ma anche le generazioni future ed in particolare i giovani che al giorno d’oggi sono sempre più sensibili a queste tematiche. Grazie alla loro passione per lo sport e alla loro determinazione, molti di questi atleti hanno raggiunto il successo a livello nazionale e internazionale e le loro storie di trionfo mostrano che la forza di volontà può superare le disabilità e ci forniscono importanti lezioni sulla diversità e l’accettazione. Senza citare tutti i casi di atleti con disabilità in seguito a traumi o ad incidenti, gli esempi di sportivi con malattie rare sono molteplici. Possiamo per esempio parlare dei ragazzi della Nazionale italiana di basket con sindrome di Down, che non solo hanno appena conquistato l’ultimo campionato del Mondo, ma hanno finora vinto ogni titolo Mondiale ed Europeo messo in palio da quando esiste questa competizione. Straordinaria è anche la storia di Allysa Seely, affetta da ben tre diverse patologie rare (la malformazione di Arnold-Chiari di tipo II e l’impressione basilare, patologie malformative della base cranica; la sindrome di Ehlers-Danlos, una rara malattia del collagene), che è riuscita ad ottenere la medaglia d’oro alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 vincendo nella dura disciplina del paratriathlon femminile. Altro esempio è Emma, una ragazza di 13 anni affetta dalla sindrome di Larsen, una rara malattia che provoca dislocazione congenita delle grandi articolazioni, deformità dei piedi e delle mani, oltrechè malformazioni cranio-facciali, che ha infranto i record italiani nei 100 metri stile libero e nei 100 metri rana. Questi sono solo alcuni esempi di atleti eccezionali che combattono tutti i giorni contro malattie rare e disabilità significative,  ma che ciononostante hanno raggiunto il successo nello sport. In conclusione, lo sport è un potente strumento per promuovere l’inclusione delle persone con malattie rare. Questi atleti straordinari ci insegnano che la passione, la determinazione e la forza di volontà possono superare qualsiasi ostacolo, compreso quello della disabilità.   * Dirigente medico, Specialista in Neurologia, Ospedale di Gallarate (VA) – ASST Valle Olona  

Malattie Rare – Diversità, Diagnosi e Sclerosi Tuberosa

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di Gianmarco Abbadessa*   La diversità delle malattie rare Le malattie rare sono numerosissime, con circa 8000 diverse patologie identificate. Ognuna di queste ha le sue specifiche sfide e impatti sulla vita quotidiana dei pazienti, richiedendo spesso cure altamente specializzate e un costante impegno da parte dei pazienti e delle loro famiglie. È fondamentale per i giovani comprendere questa vastità di condizioni per promuovere la consapevolezza e l’empatia nei confronti di coloro che vivono con malattie rare e sostenere gli sforzi di ricerca e di miglioramento della qualità della vita per queste persone. La lotta per una diagnosi La lotta per una diagnosi precisa è una sfida che molte persone affette da malattie rare devono affrontare quotidianamente. Queste malattie colpiscono solo un piccolo numero di individui, il che le rende spesso sconosciute agli stessi medici e agli specialisti. La mancanza di conoscenza e consapevolezza su queste malattie può ritardare notevolmente la diagnosi, con gravi conseguenze per la vita dei pazienti. Ottenere una diagnosi precoce è fondamentale per molte malattie rare, poiché può aprire la porta a trattamenti efficaci e a un migliore controllo dei sintomi. Tuttavia, il percorso verso una diagnosi può essere lungo e tortuoso. Spesso, i pazienti devono consultare numerosi medici e subire una serie di test costosi prima di ottenere una risposta. Oltre a ritardare l’inizio delle cure, il ritardo nella diagnosi può causare ansia, isolamento sociale e un peggioramento della salute generale. Per aumentare la consapevolezza sull’importanza della diagnosi precoce delle malattie rare, è fondamentale educare il pubblico e gli operatori sanitari su queste condizioni, promuovere la ricerca e sostenere le organizzazioni che lavorano per migliorare la vita dei pazienti con malattie rare. Solo attraverso sforzi congiunti possiamo sperare di rendere il percorso verso una diagnosi più rapido e accessibile per chi ne ha bisogno. Sclerosi Tuberosa La sclerosi tuberosa è una malattia rara genetica caratterizzata dalla formazione di tumori benigni in vari organi del corpo, inclusi il cervello, la pelle, i reni, il cuore e altri. La malattia può manifestarsi in modi diversi da persona a persona e può causare una vasta gamma di sintomi e complicazioni. Poiché la sclerosi tuberosa è una malattia rara, colpisce una piccola parte della popolazione. La gestione di questa condizione richiede spesso un team di specialisti medici e una comprensione approfondita delle sue implicazioni. La ricerca continua è fondamentale per migliorare la diagnosi, il trattamento e la qualità della vita delle persone affette da sclerosi tuberosa. Come per altre malattie rare, la consapevolezza e il sostegno alla ricerca sono cruciali per aiutare i pazienti affetti da sclerosi tuberosa e per migliorare la loro qualità di vita.   * Gianmarco Abbadessa, Neurologo e Dottorando in Neuroscienze all’università della Campania “Luigi Vanvitelli”    

Raro è davvero raro?

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di Sebastiano Crisafulli, Stefano Gelibter e Jacopo Perugini*   Le parole hanno un peso, così come le definizioni. Cosa evoca nell’immaginario collettivo la parola “raro”? Qualcosa di poco comune, sicuramente. Meno frequentemente (o più raramente) questa parola può evocare un qualcosa di non compatto, poco denso, poco fitto: qualcosa di spazioso quindi, come l’etimologia latina del termine sembra suggerire. In ultimo, raro può anche voler dire prezioso, eccezionale. Quali di questi significati siamo soliti attribuire a questo aggettivo, quando lo affianchiamo alla parola malattia? In altri termini, cosa definisce una malattia come “rara”? I più risponderanno: è ovvio, stiamo parlando di una malattia molto poco frequente nella popolazione. È una risposta corretta, ma solo in parte. Diverse sono le definizioni di malattia rara in letteratura, ma sono tutte accomunate dalla presenza di numeri. L’Unione Europea e l’Italia, per esempio, definiscono una malattia come rara quando la sua prevalenza (il numero di casi presenti nella popolazione in un dato momento) non supera i 5 casi ogni 10000 abitanti. Effettivamente è un numero molto basso per una malattia, anche se in un paese di circa 60 milioni di abitanti come l’Italia una singola malattia rara può quindi colpire fino a circa 30 mila persone. Le malattie rare, però, prese nel loro insieme non sono affatto poche. Se ne conoscono attualmente tra le 7000 e le 8000. Il risultato? Si stima che in Italia in questo momento ci siano fino a 2 milioni di persone con una diagnosi di malattia rara. Vi sembra ancora un qualcosa di molto poco frequente? Le malattie rare hanno però anche a che fare con lo spazio. Per un ricercatore che lavora con queste malattie, è uno spazio interminabile da esplorare. Non solo è vastissimo il campo di quello che sappiamo di non sapere, addirittura appare infinita l’estensione di quello che non sappiamo di non sapere: l’Unknown Unkowns del fortunatissimo titolo della XXIII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano. Se è vero che questi interminati spazi possono spaurire il cuore, è anche vero che sono il terreno dove si gioca la ricerca più fertile. Un terreno arando il quale possiamo auspicarci di porre una barriera alla nostra infinita ignoranza, migliorando la vita di tante persone che convivono con una diagnosi di malattia rara e delle persone a loro vicine. Uno spazio ben più angusto è invece quello dedicato a queste malattie (e alle persone costrette a conviverci) nella narrazione pubblica. Se le parole – come dicevamo all’inizio – hanno davvero un peso, allora parlare di malattie rare diventa fondamentale. Per conoscere, per finanziare la ricerca, per includere. Ecco che torna ancora il concetto di spazio: lo spazio che le persone con malattie rare hanno diritto di occupare all’interno del vivere comune. È un diritto inalienabile, che va costruito quotidianamente e che passa immancabilmente tramite la condivisione. Richiede impegno, ma non è nulla di eccezionale. Qualcosa di eccezionale c’è invece nelle malattie rare, ma non è da ricercarsi nei loro complessi meccanismi patogenetici, né nella vastità delle lore possibili manifestazioni cliniche. Lo si trova facilmente nelle storie delle persone che ne sono sfiorate, toccate o travolte. Sono storie dure, estremamente faticose da accettare anche per chi indossa il camice bianco ed è seduto dietro una scrivania ad ascoltarle. Eccezionali e preziosi sono però il coraggio, la resilienza, la forza che dentro vi si trovano. La lotta per una diagnosi e per l’accesso alle cure, la ridefinizione costante del senso del sé, la convivenza con spade di Damocle che sembrano sempre in bilico sopra le proprie teste. Ascoltare questi vissuti – anche se spesso ci fanno sentire piccoli e inadeguati – è il primo passo del prendersi cura. Cosa definisce, dunque, una malattia rara? La frequenza (bassa e altissima allo stesso tempo), lo spazio (da esplorare, da conquistare), l’eccezionalità (da ascoltare e accogliere).   *Neurologo, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta *Neurologo, Ospedale Niguarda di Milano    

Rare che… la conoscenza “sdemonizza”: un viaggio tra abilismo, diversità e disabilità invisibili.

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di Sebastiano Crisafulli, Stefano Gelibter e Jacopo Perugini*   “È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile”- Luis Sepulveda Negli ultimi anni il panorama sociologico mondiale sta via via mutando. La tendenza di vedere nella diversità del genere umano una ricchezza e nel riconoscere, allo stesso tempo però, che per quanto diversi siamo, anche tutti parte dello stesso gruppo e che siamo tutti uniti in questo, sta sempre di mettendo radici. Lotte per i diritti della comunità LGBTQI+, per il diritto all’affermazione dell’identità di genere, per il trattamento paritario tra uomini e donne, per contrastare la violenza sulle donne ed il femminicidio, per combattere la discriminazione razziale, gli stereotipi, l’abilismo e per contrastare tutto ciò che invece di unirci ci divide stanno infiammando il mondo. Tra queste cause, che comunque tutti ritengo dovremmo abbracciare e portare avanti, a noi medici, e forse a noi Neurologi in particolare, sta molto a cuore la lotta contro l’abilismo, contro la discriminazione della disabilità. Questa lotta è una di quelle che ha ancora molta strada davanti e con cui noi Neurologi ci scontriamo frequentemente. Negli ultimi anni è emerso come questa lotta sia strutturata su più piani, per cui si parla di piramide dell’abilismo: questi piani di discriminazione possono essere raggruppati in due sottogruppi, il primo che raggruppa una serie di discriminazioni ormai socialmente inaccettabili nella maggior parte del mondo, ed un secondo invece dove le discriminazioni ancora sono socialmente tollerate, in quanto considerate meno gravi e/o lesive o semplicemente, perché meno appariscenti. Più che di una piramide potremmo parlare di un iceberg, dove la punta che emerge è rappresentata dalle discriminazioni evidenti e inaccettabili, quali crimini di odio, violenza e brutalità sulla base della disabilità o l’esclusione e la segregazione sulla base della disabilità, per cui le lotte sociali hanno portato a una consistente, seppur ancor parziale, riduzione della incidenza di queste fenomeni, mentre una fetta consistente del ghiaccio dell’iceberg rimane ancora non evidente ai più. Parliamo in questo caso di discriminazioni più silenti ed invisibili, o meno visibili ed appariscenti, come la mancanza di spazi e strutture adeguate per persone con disabilità o l’assenza di adeguato sostegno da parte degli Stati, alla minimizzazione o all’eccessivo paternalismo che si verificano nei confronti delle persone disibili, o ancor più, l’indifferenza. Tutte queste forme di discriminazione, meno lampanti e meno “flashy”, rendono comunque la vita ancora più complessa. Ancor più nascoste sotto la superficie del mare sono poi le disabilità “invisibili” con cui spesso molti dei nostri pazienti con malattie neurologiche devono convivere, ma che essendo appunto “invisibili”, non vengono percepite dal mondo esterno, spesso anche dalle stesse persone gli sono più vicine. Frequente, per esempio, noi neurologi abbiamo a che fare con persone, che per la loro malattia, come nel caso della Sclerosi Multipla e delle malattie autoimmuni, vanno incontro a condizioni quali fatica cronica, facile affaticabilità, dolori diffusi cronici o problemi di attenzione e concentrazioni, che li limitano nella loro giornata, ma che, per l’assenza di segni “evidenti” della loro disabilità, come possono essere delle stampelle o una carrozzina, non vengono considerati, pur mettendoli alla prova tanto quanto. Quando poi la disabilità che li contraddistingue è  causata da una malattia rara, le cose si complicano ulteriormente: gli anni passati a cercare senza ottenere una risposta, l’assenza di un gruppo folto di persone che abbiano la stessa malattia e problematiche affini alle tue con cui poter creare un legame di supporto o anche solo confrontarsi, l’assenza di trattamenti e spesso anche di fondi per la ricerca e la scarsa conoscenze diffusa di tali patologie, risultano invalidanti psicologicamente quasi quanto una stampella o una carrozzina. è il caso ad esempio delle malattie quali la Miastenia Gravis, la malattia di Pompe, la Neuromielite ottica, la Neuropatia ottica ereditaria di Leber e di tanti altri disturbi di cui pochi al di fuori del ramo, anche all’interno della stessa categoria medica, possono dire di conoscere. “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è”- Marcel Proust Un’arma nella lotta all’abilismo per questi pazienti è sicuramente la conoscenza di queste malattia e la comprensione dell’isolamento, della disabilità e del carico emotivo e psicologico che queste hanno. Ignorare queste malattia, non conoscerle, sono cose che ci dividono gli uni dagli altri, appesantendo una condizione già di per sé non semplice. Rare che è un progetto a cui abbiamo aderito in quanto, sebbene non una soluzione definitiva, entra nell’armamentario della lotta alla discriminazione all’abilismo, in quanto la conoscenza di qualcosa ci aiuta sempre a comprenderla meglio e ad avvicinarci ad essa, senza esserne spaventati. Come abbiamo conosciuto che ci sono tipi diversi di famiglia, ci sono persone dalla pelle diversa, dalle idee diverse, dalle culture diverse, così ci sono persone con disabilità diverse e malattie diverse e solo conoscendo possiamo evitare di cadere in errori di minimizzazione, indifferenza, paternalismo, pietà non richiesta o violenza fisica/psicologica. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.”- Primo levi     *Neurologo, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta *Neurologo, Ospedale Niguarda di Milano    

Rare che… ci rendono combattenti: storie di straordinaria normalità

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di Sebastiano Crisafulli, Stefano Gelibter e Jacopo Perugini*   Storie di straordinaria normalità, così potremmo definire molte delle storie che i nostri pazienti ci racconta. Più che pazienti dovremmo definire le persone che noi aiutiamo ad affrontare e combattere la malattia i combattenti. É importante raccontare le storie di questi combattenti, storie veramente della loro normalità che però diventa straordinaria per il modo in cui ogni giorno devono affrontare la realtà. Questa è la storia di Francesca, che da anni convive con la malattia di Devic. Francesca è una ragazza appassionata d’arte, amava dipingere e scattare fotografie. La malattia le ha portato via una cosa fondamentale per un artista, la vista. Questa malattia autoimmune può colpire le vie della vista, in particolare il nervo ottico, il nervo che trasmette le informazioni visive dell’occhio al nostro cervello. Senza il suo corretto funzionamento la vista può essere compromesse. Francesca non ha perso del tutto la vista, ma purtroppo, come spesso succede in questa malattia, la vista non è più quella di prima perchè la malattia ha colpito entrambi i nervi ottici. Avviando un trattamento immunosoppressivo specifico la malattia sembra essersi placata, nonostante i danni che avesse già lasciato, ma da allora Francesca è stata colpita da una depressione  reattiva alla sua nuova condizione di “normalità” che l’aveva portata a smettere di dipingere, di disegnare e scattare fotografie. Francesca si era ritirata in casa, non esciva più con gli amici e parlava poco e mal volentieri. Tramite l’aiuto dei suoi amici, dei suoi genitori siamo riusciti a convincerla a iniziare a parlare con la psicologa del nostro centro e pian piano qualche piccolo segno di miglioramento, anche grazie all’avvio di una terapia farmacologica oltre che dell’impegno agli incontri con la psicologa, l’abbiamo notato. La svolta c’è stata quando Francesca si è avvicinata ad un altro combattente, Giulio, che frequentava la stessa psicologa, affetto dalla stessa malattia ma che aveva coinvolto le gambe, causandogli una paraparesi con impossibilità a stare in piedi senza l’aiuto di due persone. I due diventati amici si sono aiutati a vicenda e Giulio l’ha avvicinata al mondo della musica. Francesca ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte e sebbene non si sia mai più riavvicinata alla pittura, è riuscita a trovare quel qualcosa, e anche quel/quei qualcuno, che l’hanno aiutata a combattere di nuovo. Questa è la storia di Agata, mamma e nonna, che da qualche tempo aveva dei problemi con il funzionamento dei suoi muscoli, la cui connessione al nervo è compromessa per via della presenza di un anticorpo che si interpone e ostacola la comunicazione, causando facile faticabilità per sforzi minimi e mancanza di forza nei muscoli (nei casi più gravi la debolezza si estende ai muscoli della deglutizione con impossibilità a deglutire o a quelli della respirazione con impossibilità a respirare, e conseguente rischio di morire; questo per fortuna non era il caso di Agata). Dopo l’inizio della terapia, in cui utilizziamo il cortisone, le immunoglobuline e degli agenti per facilitare la trasmissione tra nervo e muscolo, Agata è tornata a prendersi cura dei nipotini anche se non più ai livelli di una volta. Agata ha dovuto imparare a stare attenta ai segnali di riattivazione e a venire sempre ai controlli ospedalieri e ha dovuto imparare a convivere  Non le è più così semplice dedicarsi con la stessa energia alle piccole canaglie, fa molta più fatica e deve mostrarsi meno disponibile, ma lo fa ogni volta che riesce, ogni volta combatte per riottenere quella normalità che ora, vista da fuori, è straordinaria. Questa è anche la storia di Marco, affetto da malattia di Hungtinton. La mamma di Marco ne era affetta e la malattia l’ha portata al suicidio all’età di 46 anni. Marco non aveva mai voluto farsi testare dal punto genetico, aveva sempre scansato i rapporti amorosi vivendo di rapporti occasionali per evitare il rischio, nel caso avesse avuto la malattia, di trasmetterla ad una potenziale progenie. Marco ha però avuto i primi sintomi intorno all’età di 33 anni con un’evoluzione piuttosto rapida. Non volendo arrivare al punto in cui aveva visto negli ultimi tempi sua madre, Marco dopo un viaggio in giro per il mondo  in cui Marco ha visto e fatto tutto ciò che poteva fare, assaporare, odorare e vivere, Marco ha deciso di porre fine al suo percorso, riprendendosi una delle poche libertà che la malattia gli aveva lasciato. Questa è la storia di Jean, un combattente che ho conosciuto in Francia. Jean ha avuto un’encefalite da anticorpi anti GFAP. Dopo un primo momento di coma e con alterazioni successive comportamentali importanti, dopo trattamento con cortisone, il quadro si è quasi del tutto risolto, ma da allora Jean fa molta fatica a concentrarsi e a stare attento, come esiti di questa importante infiammazione cerebrale. A scuola, dove prima andava molto bene, ha iniziato a non riuscire più a seguire e a memorizzare le informazioni, e le sue performance sono molto calate. Ha iniziato a soffrirne, litigare con gli altri ed essere scontroso, incrinando anche il rapporto coi genitori, che non accettavano la nuova condizione. Dopo molti incontri tra noi neurologi, psicologi e con i genitori, Jean ha deciso di lasciare la scuola e cercare un lavoro. Jean ha trovato un lavoro in una serra, si è appassionato di piante, e per quanto le difficoltà di concentrazione persistano e diano ancora fastidio e siano fonte di preoccupazione, non le vive così male come prima. Ha riallacciato i rapporti con gli amici e si è pure fidanzato con un bellissimo ragazzo che studia medicina.   Queste sono le storie di alcuni dei combattenti con cui abbiamo avuto a che fare. Alcune tristi altre con un finale più felice, ma tutte meritevoli di essere ascoltate e divulgate per aprire gli occhi a realtà ben lontane da quelle conosciute, realtà ordinarie e straordinarie allo stesso tempo, che ci illuminano sulla capacità umana di resistere e adattarsi e combattere per la felicità, ma allo stesso tempo alla fragilità che ognuno di noi ha al proprio interno,

Le Malattie Rare

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di Stefano Masciocchi* Le malattie rare sono per definizione patologie che colpiscono solo poche persone, ma che sommate tra loro interessano quasi un milione di persone in Italia. Il termine malattia rara comprende più di 5.000 patologie diverse, e sempre più ne verranno identificate grazie al continuo ed esponenziale sviluppo scientifico. Il numero e la rarità di queste malattie rendono la diagnosi molto complessa. Tuttavia, la diagnosi riveste un ruolo fondamentale perché è il primo passo per definire il disturbo presentato dal paziente con la conseguente possibilità ad accedere precocemente a trattamenti che sempre più permettono di risolvere o migliorare i disturbi legati alla presenza della malattia. La sensibilizzazione e l’informazione in questo caso giocano un ruolo fondamentale affinché il paziente abbia la possibilità di essere valutato in centri specializzati che si occupano della definizione dei sintomi in questione. In molti casi, infatti, la diagnosi di una malattia rara richiede una valutazione di un esperto nel settore e l’esecuzione di test diagnostici molto complessi, disponibili solo in alcuni ospedali.   *Neurologo e Dottorando presso l’Università degli Studi di Pavia    

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